E' incredibile come Ted riesca sempre ad anticipare ogni cosa! E' incredibile come abbia sempre qualcosa da raccontare e come sempre riesca a farlo meglio di me!! Pubblico un pezzo ... poche righe che ci raccontano ... una manciata di parole che in questo momento, più che mai, ci uniscono. E auguriamo a tutti buon viaggio, a chi resta e a chi va, perchè in fondo ... avremo sempre qualcosa da raccontarci.
... ora che me ne stavo andando
"... sembrava come se tutti avessero avuto bisogno di me. Tutti che mi chiamavano, tutti che mi cercavano e, per dio, tutti che avevano qualcosa da dirmi. Si ha sempre qualcosa da dire sulla vita degli altri. Sempre. Così è facile. Non ci si sporca le mani, così.
“Dimmi … ho sentito dire che vuoi mollare tutto e andartene”, “Esatto”, “Secondo me stai facendo una cazzata”, e buttavano giù senza nemmeno salutare credendo di avermi lasciato lì a cuocere nel mio brodo. Si teme sempre la libertà degli altri. Ora che me ne stavo andando sembrava come se tutte le cose intorno a me fossero più belle. Tutte quante … anche il cesso con i perenni graffioni di merda, la bottiglia di rum sovietico, nella triste confezione sovietica, e il bolero di San Miguel. La casa, il vecchio condominio di là dalla ferrovia, il quartiere, le strade e il bar.
Ora che me ne stavo andando il desiderio di farlo sembrava come se si stesse affievolendo. Mollare tutto, che pazzia! Ora che me stavo andando era come se non avessi più voluto farlo. La vita, quella vita, mi stava ricattando. Con essa le mie cose e tutte le mie abitudini. Le luci accese dietro le finestre per l'ora di cena. Il profumo di arrosto e le sagome dentro le cucine avvolte nei chiari bagliori di balie catodiche. Le auto parcheggiate con ordine dentro gli spazi bianchi e le lucine rosse che lampeggiavano come lucciole nell'oscurità dei loro abitacoli. La città con le sue strade arancioni, i semafori fuori servizio dopo le 23, nei giorni feriali, e dopo le 24, in quelli festivi ... le insegne gialle dei fast-food che non chiudevano mai. Tutto mi diceva … resta … resta … non te ne andare. Il piglio arguto del postino con la sua divisa fiammeggiante, la cassetta delle poste ... l'ufficio delle imposte. Ora che me ne stavo andando, intorno a me, era tutto come una congiura.
Il telefono, le chiamate perse e quelle non risposte. Il balcone, i fiori sul balcone, il mio piccolo bonsai e le mie poche piante grasse. Tutte là, in fila una dietro l'altra, come a chiedermi l'acqua di cui non avevano mai avuto bisogno. Ora che me ne stavo andando tutto era adatto a restare. Le albe infestate dal fastidioso cinguettio degli uccelli che non avevano più un nido ma che insistevano perché io ce l'avessi. Le baracche e i baracconi con le giostrine degli zingari, le piade sfrigolanti farcite di cipolle e di salsicce … la voce sempre uguale del triste imbonitore che gridava, “… gimo che è bulo, c'è anche la scimmietta che fa bu”, e il castello degli specchi dove chi era grasso diventava magro e pure viceversa. Il chiosco delle due, quello delle quattro e quello che non chiudeva mai. Ora che me ne stavo andando cominciavo ad amare ogni cosa e ogni cosa sembrava colpire con bellezza. La piccola piazza da un milione di dollari del piccolo paese dove al barista il caffè non gli riusciva mai di farlo bene ma adesso si, ora che me ne stavo andando, aveva il sapore più buono di tutti i caffè che avessi mai bevuto. La strada in discesa dietro la piazza con le case basse, i giardini ben curati, i nani da giardino e i gatti da giardino. Eleganti, pasciuti … perfetti e con un topo in bocca. La vecchia insegna della vecchia stazione con la scritta senza S dove i treni si fermavano, a volte uno si e a volte uno no. La ferrovia, le erbacce alte lungo la scarpata e il passaggio a livello dove erano più i morti che i passeggeri trasportati. Il fiume dietro casa dei miei vecchi, la casa su due piani dei miei vecchi e le montagne dietro le quali si nascondeva il mare senza far rumore. Lo spiazzo del ristorante, illuminato di giallo, dietro i bandoni di eternit dove l'antipasto era la polvere soltanto che le auto sollevavano a furia di finirci a mangiare. L' hotel dei camionisti sopraffatti dal vino amaro della casa e degli impresari del sud, con i cappellini della Smirnoff, le camice a quadri e i pantaloni bianchi. Le strade e le traverse delle strade intitolate ai partigiani e ai martiri dei lager. I campi da tennis dismessi, dove non avevo mai giocato, i fabbricati dismessi e le chiese moderne con le croci di rame e l'altare a forma di astronave. Le case delle puttane dell'est sulle cui soglie i vecchi facevano finta di guardare l'ora e i giovani di parlare al cellulare. Il Natale, le luci di Natale, babbo Natale vestito di rosso e la neve, che se cade a Natale è ancora più bella. Il traffico delle otto, il traffico delle una e il traffico del rientro. Le code interminabili in mezzo al traffico con l'aria condizionata a palla d'estate, il riscaldamento a 25 d'inverno. Le code al supermercato, la cassiera del supermercato ... l'alito cattivo della cassiera del supermercato che ora che me ne stavo andando sembrava molto più gentile.
Ah … quanta bellezza! Ci si muore di bellezza. Una trappola per topi … ecco cos'era tutta quella bellezza, ma io ... non ero un topo."
[da Ted Lee Perez, Sacro quotidiano]
Utilità, spunti e tentazioni
... non previsti in questo post
2 commenti:
"Non c'era niente più di cui parlare, c'era da andarsene e basta, già che la stagione era iniziata e bisognava svignarsela. Perché tutto si comprende soltanto agendo o ritirandosi".
V.C. Non si muore tutte le mattine
a presto amici ... sarete sempre con noi!!!
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