Se fossi una birra o un crocefisso potrei arrivare ovunque in Brasile. Casse di Skol, Antartica e Brahma viaggiano con facilità e certezza in tutto il Paese insieme alla parola di Dio e alla sua universale provvidenza. Facile, no! “Vota Dio”, “Dio è fedele”, “Senza Dio non si vince” … questi gli slogan più incoraggianti che campeggiano sui muri delle città, sulle vetrine dei negozi, sulle facciate delle chiese, sulle autovetture e sulle bandiere che sventolano perenni. Forse al Papa converrebbe trasferirsi da queste parti a bere birra e a pregare in compagnia dei suoi sostenitori più appassionati.
Risaliamo lentamente il nord volgendo verso ovest. I trasporti per noi sono tutti da inventare. Non siamo birre del resto … e non portiamo la parola di Dio. Ci trasferiscono, sballottandoci, da un carro all'altro insieme a cartoni di pulcini, secchi di plastica, canestri di palma, manici di scope e pendolari delle foreste. A volte un omnibus (questa notte) che con 100 ore di viaggio, se vuoi, ti spediscono anche all'inferno. Attraversiamo villaggi e cittadine illuminati soltanto dalle fioche luci degli ultimi bar che tiran tardi. Birra gelata e “prato feito” per 5 reais: riso, fagioli, farofa e petto di pollo. Sembrano non aspettare mai nessuno ma anche se l'aspettassero, nel frattempo, li vedi che si addormentano su vecchi tavoli da biliardo. Paesi isolati, … non funziona più il telefono, non c'è rete perché dicono che qualcuno si è fottuto i cavi. Ma la parabola no … quella non la tocca mai nessuno, per carità, non smetterà mai di funzionare e alle otto della sera tutti davanti alla TV a ubriacarsi di sogni e di novelas. Nemmeno Dio potrà mai competere con “Passione”! Abbandoniamo il Cearà, attraversiamo il Piauì e sbarchiamo in Maranhao. Sempre più vicini all'equatore ... sempre più caldo. Il sole, già dalle prime ore del mattino, arroventa le strade, scoraggiando qualsiasi attività che non sia bere birra gelata in bottiglie da 600. I tavoli traboccano di vuoti. Si usa così. Non li fanno mai portare via per tenere a bada il conto ed esser certi che il barista non li imbrogli. Ogni luogo è un incontro, un saluto e poi un addio. Attori indolenti, bruciati dal sole, che inseguono strani sogni. Babilonia, Anna Hi e la comunità di artigiani di Jeri con denti di porco della foresta al posto delle orecchie. Il peruviano-brasiliano-genovese che viaggia in tutto il sud America alla ricerca della materia prima, una soltanto, che lo aiuti a sopravvivere. L'ebreo paulista che difende il suo pezzo di sabbia sbronzandosi ogni sera, al tramonto, con brandy di bacche di ginepro. Aspetta solitario che qualcuno se lo compri per 600.000 euro. Vuole acquistare una barca a vela e scappare in Israele. Dice che se gli capita un giapponese fra le mani gli vende anche la duna. Il funambolista di Rio che trascorre la giornata a mangiare gamberetti fritti e a camminare sopra una corda tesa fra le palme. Grillo il bahiano, che confonde Pinocchio con Geppetto, e procura soldi per professione. Manlio, l'italo-francese che ha comprato casa a Sao Luis perché gli ricorda Venezia e Santiago di Cuba. E' lì da tre anni aspettando di montare uno spettacolo di danza. Prevede che morirà prima di esserci riuscito. Attraversiamo questo pezzo di Brasile dalla bellezza mai scontata. Il Delta das Americas ... l'unico del continente ad affacciarsi in mare aperto. Il terzo nel mondo dopo quello del Nilo e del Mekong. Isole ricoperte di foreste di manghi, stormi di uccelli Guarà, rossi come il fuoco, e vecchi pescatori di granchi che infilano le braccia nella melma fino al collo per tirarne fuori a centinaia. I pescatori di Ilha Grande Santa Isabel che tirano su pesci più grandi delle loro barche. Li macellano al tramonto come fossero maiali sporcandosi i piedi di sangue fino alle caviglie. I deserti bianchi dei Lençois e le solitarie domeniche di Sao Luis. La capitale del reggae brasiliano, l'unica città in Brasile fondata dai francesi, con un decadente fascino sottile che a guardarla bene a me ricorda un po' l'Havana. In compagnia di Manlio la scopriamo di notte. Tagliamo i vicoli acciottolati nel silenzio di una domenica come le altre ... i quartieri a margine del progetto Reviver che con i fondi dell'UNESCO dovrebbero rinascere. Dovrebbero … forse … perchè qui i soldi non sembrano essere mai arrivati. L'aria è calda … puzza di marcio e di qualcosa che sembra stia per finire (o per esplodere) da un momento all'altro. Attraversiamo in silenzio la collina con le facciate dei palazzi divorate dal sole, dal sale e dall'umidità. Di tanto in tanto un po' di musica si diffonde nell'aria. Luci dietro le finestre di stanze dai soffitti alti. Facciamo una sosta alla farmacia di Batista. Così la chiamano in città. Una vecchia cantina polverosa piena zeppa di bottiglie di cachaça invecchiata con ogni genere di frutto. Fuoco ardente per l'esofago! Oltre la collina, dietro le fabbriche del gelo, si nascondo i putridi bordelli circondati dalle fogne a cielo aperto. Birra, puttane grasse e malinconici pianisti che intrattengono la sala sotto bandoni di lamiera. Al piano superiore le camere dove per 10 dollari e una bevuta ti permetti un po' di inferno.
Attraversiamo questo pezzo di Brasile travolto dalle ultime battute della corsa elettorale. Serra e Dilma si contendono il trono a colpi di ridicole campagne di marketing e patetici spot pubblicitari. A confronto i catodici assalti di Berlusconi fanno sorridere. Attraverso il sogno di Lula … va bene … forse finisce per piacere anche a me. Ma c'è troppa elettricità nell'aria, troppa euforia … troppi sondaggi … troppe statistiche per un gigante dai piedi di argilla. Troppa fiducia nel sogno ingannevole di questo improvviso sviluppo. Le banche si sono moltiplicate come le file davanti agli sportelli. Piccoli e “sconosciuti” istituti di credito a tassi da usuraio sono spuntati ovunque come funghi. Tutti a chiedere soldi che con molta probabilità non potranno mai restituire. Tutti a fottersi le “borse famiglia” e a indebitarsi fino al collo per un frullatore, un cellulare nuovo o un microonde. Nei supermercati si compra a rate anche uno spazzolino da denti o una bottiglia di vino.
Mercoledì 20 ottobre … h.07:00
Parà, lo sterminato estuario del Rio delle Amazzoni … il penultimo Stato prima che il Brasile finisca al confine con la Guiana Francese. Sbarchiamo al terminal rodoviario dopo un viaggio di 12 ore a bordo di un confortevole Boa Esperança. Belem, la città delle piogge. Dicono che qui piova tutto l'anno, tutti i giorni e alla stessa ora. Ma il cielo è azzurro e l'aria pesante. Umida, sporca … ti soffoca il respiro. Camminiamo con le gambe a pezzi e una doccia di sudore sulla schiena per le vie del centro. Percorriamo l'Avenida Presidente Vargas fino alla Baia di Guajarà dove le acque torbide del grande fiume scivolano lentamente verso l'oceano. Attraversiamo il porto facendo attenzione a dove mettere i piedi e il mercato Ver-o-Peso dove anticamente i portoghesi ci pesavano le merci per l'imposizione delle tasse. I pescatori sonnecchiano su le amache di rete nelle loro barche perché la giornata di lavoro è finita e adesso tocca agli altri. L'odore di fritto è nauseante. Qui la specialità è il filetto di pirarucù, una bestia del fiume che può arrivare a pesare anche più di 100 chili. Proseguiamo per il centro con le facciate dei bei palazzi antichi abbandonati a se stessi da quando il declino del commercio della gomma svuotò le tasche della città. La chiamano la Parigi dei tropici anche se a me ricorda un po' Il Cairo con le strade sporche, affollate di mercati, e l'acqua dei condizionatori, appesi alle finestre, che ti piove sul naso.
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